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Bøker i Classici della Letteratura Italiana-serien

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  • av Giovanni Pascoli
    330

    Ibat per Veteres tunicatus forte Tabernas quidam annis iuvenis nec voltu serior idem, bellus et urbanus, nihil indefessus agendo. Si toga dest umeris, digito non, thunice, laevae, anule, non destis levibus, sicyonia, talis. Praeterea flavos, procero corpore, sic ut trans ripas fortasse Padi crevisse putares. Cetera nil optet puero nutricula, quod non huic uno tribuat, formam, rem, denique mentem, aspectu quivis, nisi quid color arguit albus atque inducta genis oculorum longior umbra.

  • av Giueseppe Manno
    528,-

    Le prime origini delle nazioni coperte sono di tenebre anche presso a quei popoli i quali ebbero in tempo scrittori atti ad investigare le cose antiche, ed a tramandare ai posteri li fatti celebri della loro età. La greca mitologia, impadronitasi d'una gran parte delle scarse ed inesatte tradizioni dell'antichità, volendo tutto abbellire, ha tutto svisato, dimodoché più inestricabile riesce il viluppo che incontrasi nel separare dall'ingombro dei racconti favolosi l'impercettibile germe di verità talvolta racchiusovi. Non è dunque da meravigliare se la storia di un paese, qual è la Sardegna, privo nell'antichità di illustratori propri, presenti a chi fassi ad indagarne i primi tempi molta...

  • av Ciro Di Pers
    330

    Che comodi bensì, ma non delizie la vita coniugale a l¿uomo arrechi, disse saggio novello, e applauso n¿ebbe da la gente che sola esser nel mondo colta si vanta e dar le leggi e i nomi del costume leggiadro a tutta Europa. D¿oppormi ardisco al celebrato dogma ma falso, periglioso ed abborrito dall¿anime ben nate. Udite, o sposi...

  • av Theodor Mommsen
    330

    Storia antica. Sui lidi di quel mare Mediterraneo che, insinuandosi nella terraferma, forma il più vasto golfo dell'Oceano ed or restringendosi per mezzo di isole o promontori, ora estendendosi ampiamente, unisce e separa ad un tempo le tre parti del mondo antico, fin dai tempi remoti si stabilirono genti varie le quali, se sotto l'aspetto etnografico e linguistico appartengono a stirpi diverse, storicamente formano un unico complesso. Questo complesso che impropriamente si suole definire la storia del mondo antico, è invece la storia della civiltà dei popoli mediterranei, la quale nei suoi quattro grandi stadi di svolgimento ci presenta...

  • av Ulisse Barbieri
    330

    Diletto amico, or mo senti un'istoria Che per diporto un dì, a narrar t'appresi: Un rompicollo, quale io pur mi sono, Che al certo non vuo' star co' santi in chiesa Già ti so ben, ma questo poi non toglie Che se leggiero di cervel, di sasso Ti batta in petto un cor, come a certuni Eroi della prudente opra, del detto... Ch'anzi in versar sovra taluna piaga

  •  
    383,-

    Musa, quell'uom di multiforme ingegno Dimmi, che molto errò, poich'ebbe a terra Gittate d'Ilïòn le sacre torri; Che città vide molte, e delle genti L'indol conobbe; che sovr'esso il mare Molti dentro del cor sofferse affanni, Mentre a guardar la cara vita intende, E i suoi compagni a ricondur: ma indarno Ricondur desïava i suoi compagni, Ché delle colpe lor tutti periro.

  • av Alfredo Oriani
    330

    Egli uscì a testa alta, col volto lucido di quel sorriso, che sembra illuminarsi dall'interna contentezza di un buon pranzo. Aveva mangiato copiosamente, solo ad un tavolino dell'ampia sala bislunga, nella quale gli avventori rumoreggiavano, e i camerieri in giacchetta nera e cravatta bianca mutavano correndo i piatti sporchi coi piatti pieni, fra l'incrociarsi degli ordini e il vocìo saliente delle conversazioni...

  • av Giulio Pinchetti
    330

    Dappoi che il canto s'è mutato in ghigno, E vizio non discerpi ove non rida E dottamente grondi di maligno, Dappoi che tempio al Vero unico è Mida, E che il cantor de l'amorosa scienza In soli iconoclasti il còr confida, O Satira, te invoco: e te, o Prudenza, Toga sdruscita e inutile, rigetto, E sulla cetra, in libera cadenza, Tintinnire farò l'ira del petto.

  •  
    357,-

    Poiché la nave uscì dalle correnti Del gran fiume Oceàno, ed all'Eèa Isola giunse nell'immenso mare, Là 've gli alberghi dell'Aurora e i balli Sono, e del sole i lucidi Levanti, Noi dalla nave, che fu in secco tratta, Scesi, e corcati su la muta spiaggia, Aspettammo dell'alba il sacro lume. Ma come del mattin la bella figlia Colorò il ciel con le rosate dita,

  • av Luciano di Samosata
    330

    Diogene. O Polluce, i¿ vö darti un incarico. Poichè tosto ritornerai su, chè, pensomi, spetta a te di riviver dimani, se mai ti avvieni in Menippo il cinico (lo troverai in Corinto presso il Craneo, o nel Liceo, deridendo i filosofi che si bisticcian tra loro), digli così: O Menippo, Diogene ti esorta, se hai riso a bastanza delle cose della terra, a venir qui, dove riderai di più ancora. Costà il riso aveva sempre un certo dubbio, quel tale dubbio: chi sa bene quel che sarà dopo la vita? ma qui non cesserai di ridere di tutto cuore, come fo io adesso; massime quando vedrai i ricchi, i satrapi, i tiranni così miseri e trasfigurati che si riconoscono ai soli lamenti; e come son co...

  • av Luciano di Samosata
    330

    Micillo. Ti colga una saetta di Giove, o gallo maladetto, che m¿invidii un poco di bene, ed hai così stridula voce. Io ero ricco, io facevo un sogno dolcissimo, io nuotava in un mare di contentezza, e tu con un acutissimo strillo m¿hai svegliato. Ah! neppur la notte posso fuggire questa mia povertà più scellerata di te. Ma a quanto io m¿accorgo, tutto è gran silenzio ancora, ed io non sento, come al solito, quel brivido mattutino, che per me è sicuro segno dell¿avvicinarsi del giorno: appena è mezzanotte; e costui sta vigilante come se guardasse il vello d¿oro: e come il sole è andato giù s¿è messo a schiamazzare. Ma non dubitare: come sarà dì, ti concerò io con un bastone. Ora mi sfuggir...

  • av Cesare Lombroso
    330

    Fra i cento e più critici che tartassarono la mia teoria sul Genio, uno solo mi ha segnalata una vera, capitale lacuna: il Sergi: quando mi obbietta, nel Monist, che io ho sì illustrata e, forse, rivelata, la natura del genio; ma non ho spiegato come sorgano le varietà così differenti dei genî. Non già - egli intendeva - che i genî differiscano essenzialmente fra loro per qualità. L'eccellere nella pittura piuttosto che nella matematica o nella strategia, non cambia punto la natura dei genî; come il variare nel sistema di cristallizzazione romboedrica o esaedrica non cambia la natura chimica del carbonato calcare, essendo in tutti comune l'esplosione, l'intermittenza, la creazione del nov...

  • av Pierangelo Baratono
    330

    In paese lo chiamavano il «Gufo», perchè abitava una vecchia torre diroccata, spersa fra le sabbie, dalla quale non usciva, a compiere le sue solitarie passeggiate, se non quando le tenebre calavano sulla terra e sul mare. Di lui si sapeva soltanto ch'era scultore e che veniva da una città lontana lontana. Qualche pescatore, incontrandolo sulla spiaggia nelle notti lunari, ne aveva osservato il volto bruno, nascosto nella fitta barba e sotto lo spiovere dei capelli ed ancor più rabbuiato da un'espressione indefinibile di scoramento. Un doganiere dal rifugio del suo casotto in una sera di tempesta lo aveva scorto, al bagliore dei lampi, alzare le braccia verso il cielo in un gesto di minac...

  • av Luciano di Samosata
    330

    II. Luciano dipinse il suo secolo non con altri colori che con quelli della satira, che è la pittura estetica del male: se egli ebbe ragione di così fare si vedrà nella storia, pittura scientifica del male e del bene. Nel mondo antico i Greci furono il popolo eletto, a cui la Provvidenza confidò l¿educazione intellettuale dell¿umanità, ed a cui diede il più vasto e lungo impero che sia stato su la terra, perchè fu impero d¿intelligenza. Come Venere uscita delle acque in una conca marina in mezzo alle Nereidi, così l¿Ellade circondata dalle sue isole sta fra l¿Asia minore e l¿Italia, alle quali porge la mano valicando il...

  • av Luciano di Samosata
    330

    Glicera. Quel soldato d¿Acarnania che una volta si teneva la Preziosa e poi s¿innamorò di me, quegli che aveva quella bella e ricca clamide, te lo ricordi, o Taide, o te ne se¿ dimenticata? Taide. No, i¿ me lo ricordo, o Glicerina: bevve anche con noi l¿anno passato alle feste di Cerere. Ma perchè me ne dimandi? Pare che vuoi contarmi qualche cosa di lui. Glicera. Quella tristaccia della Gorgona, che mi faceva l¿amica, me lo ha tolto con inganno. Taide. Ed ora ei non viene più da te, e si tiene la Gorgona?

  • av Luciano di Samosata
    330

    Da allora in poi non potendo io sopportare di rimanere più a lungo nella balena, andava mulinando come uscirne. In prima ci venne il pensiero di forare nella parete del fianco destro, e scappare. Ci mettemmo a cavare; ma cava, e cava quasi cinque stadi, era niente: onde smettemmo, e pensammo di bruciare il bosco, e così far morire la balena. Riuscito questo, ci saria facile uscire. Cominciando adunque dalle parti della coda vi mettemmo fuoco, e per sette giorni ed altrettante notti non sentì bruciarsi; nell¿ottavo ci accorgemmo che si risentiva, chè più lentamente apriva la bocca, e come l¿apriva la richiudeva. Nel decimo e nell¿undecimo era quasi incadaverita, e già puzzava.

  • av Arrigo Boito
    330

    Chi sa giocare a scacchi prenda una scacchiera, la disponga in bell'ordine davanti a sé ed immagini ciò che sto per descrivere. Immagini al posto degli scacchi bianchi un uomo dal volto intelligente; due forti gibbosità appaiono sulla sua fronte, un po' al disopra delle ciglia, là dove Gall mette la facoltà del calcolo; porta un collare di barba biondissima ed ha i mustacchi rasi com'è costume di molti americani. È tutto vestito di bianco e, benché sia notte e giuochi al lume della candela, porta un pince-nez affumicato e guarda attraverso quei vetri la scacchiera con intensa concentrazione.

  • av Matilde Serao
    330

    Come Maria Vitale schiuse il portoncino di casa, fu colpita dalla gelida brezza mattutina. Le rosee guancie pienotte impallidirono pel freddo; il corpo giovenilmente grassotto rabbrividì nell¿abituccio gramo di lanetta nera: ella si ammucchiò al collo e sul petto lo sciallino di lana azzurra, che fingeva di essere un paltoncino. Nella piazzetta dei Bianchi non passava un¿anima: la bottega del fabbro era ancora chiusa, la tipografia del Pungolo era sbarrata: per i vicoli di Montesanto, di Latilla, dei Pellegrini, dello Spirito Santo che sbucavano nella piazzetta, non compariva nessuno.

  • av Galileo Galilei
    330

    Io non ho mai potuto intendere, Illustrissimo Signore, onde sia nato che tutto quello che de¿ miei studi, per aggradire o servire altrui, m¿è convenuto metter in publico, abbia incontrato in molti una certa animosità in detrarre, defraudare e vilipendere quel poco di pregio che, se non per l¿opera, almeno per l¿intenzion mia m¿era creduto di meritare. Non prima fu veduto alle stampe il mio Nunzio Sidereo,dove si dimostrarono tanti nuovi e meravigliosi discoprimenti nel cielo, che pur doveano esser grati agli amatori della vera filosofia, che tosto si sollevaron per mille bande insidiatori di quelle lodi dovute a così fatti ritrovamenti: né mancaron di quelli che, solo per contradir ä mie...

  • av Umberto Fracchia
    330

    Le stelle di cui il cielo ora è pieno, appunto perchè splendono perennemente sono un indizio certo della nostra morte. Ma io che le contemplo mentre compaiono e scompaiono, a volta a volta fra le rade nuvole naviganti l'azzurro, in aggruppamenti inaspettati e nuovi, sento scendere sui miei occhi non so qual liquido filtro che mi rende oblioso così della morte come della vita. Distrattamente ascolto i rumori e le musiche del bosco, il canto dei rosignoli nell'ombra, il fruscìo dei giunchi (di seta), le voci umane giù per i campi e nell'isolata casa del mulinaio, e sento che queste cose non sono fatte per me. Troppo semplici, troppo serene.

  • av Gabriele D'Annunzio
    330

    PONGO il tuo nome anche in fronte a questo libro che sopra tutti singolarmente tu prediligi, o Cenobiarca: in fronte a questo libro che io ti ho scritto con curiosa lentezza nella sede dell'Arte Severa e del Silenzio. Poi che l'ultima pagina fu compiuta, tu avesti comune con me quella sùbita ingannevole gioia su cui più tardi il crepuscolo primaverile diffuse un così puro velo di malinconia. E avesti comune con me il rammarico per le già lontane sere quando tu salivi alla mia cella remota e quivi, nella gran quiete conventuale, mentre fumigava entro le tazze la bevanda favorita e parevami si spandesse nell'aria il calore delle nostre intelligenze, io ti leggeva ad alta voce la mia scritt...

  • av Alberto Boccardi
    330

    La vecchia casa, appartenente da oltre settanta anni alla famiglia dei Sant'Angelo, è sita in una delle più belle e pittoresche posizioni dell'alto Friuli. L'edificio a due piani, fabbricato nello stile de' villini veneti, è posto sul colmo di una collinetta in mezzo alla vallata ubertosa, che si stende da Tricesimo a Cividale. La vista che vi si gode è stupenda: dal grande balcone della sala al primo piano l'occhio abbraccia una distesa larghissima di paese: di fronte, nella lontananza, ritto sulla curva cerulea dell'orizzonte, l'angelo d'oro che si libra sul castello di Udine; poi, mezzo nascosti tra le spalliere de' gelseti, o surgenti come bianche fantasie in mezzo alla vastità dei p...

  • av Grazia Deledda
    330

    Aveva appena finito di predicare, il grosso frate barbuto, e se ne tornava al convento, anzi del convento già rasentava il muro dell'orto, di sopra del quale le nuvole bianche dei peri e dei susini in fiore lasciavano cadere una silenziosa nevicata di petali sul marciapiede deserto. Sul marciapiede opposto, di là dalla strada larga dove il sole già caldo sebbene al tramonto e un venticello che sapeva ancora di neve giocavano un loro gioco malizioso e sensuale, solo una donna passava quasi di corsa, agitata, con le mani gesticolanti, le falde della giacca che si aprivano e si chiudevano come due ali nere di sopra e viola di sotto. Rimasto indietro di qualche passo, il frate si accorse che...

  • av Thomas Moore
    330

    Nella beata regïon del sole Cui primiera sorgendo egli saluta Fra le Perse contrade, ove ridenti Figli del raggio suo sbocciano i fiori E s'indorano i frutti in ogni riva, E leggiadro su tutte altre fiumane Il Murga la sua chiara onda rivolve Infra i boschetti e i nobili palagi Onde bella è Merou, quivi su trono, A cui lo sollevò cieca credenza

  • av Enrico Thovez
    383,-

    Quando sul limitare della fanciullezza il fantasma ridente della Poesia uscì dai veli dell'incomposto tumulto dell'essere che si affacciava bramoso alla vita, inconscio ancora della natura del proprio ardore e dei mezzi di estrinsecare la piena irrompente dell'affetto e della meraviglia, novità grandi e misteriose erano avvenute nella repubblica letteraria italiana. Gli antichi dèi erano stati sbandeggiati ed i nuovi non avevano ancora ottenuto l'exequatur dalle autorità costituite. Una grande incertezza regnava nelle scuole e più di un vecchio insegnante vi perse il latino; ma i più continuavano nel consueto indirizzo, confidando in un prossimo ristabilimento dell'ordine.

  • av Grazia Deledda
    330

    ...Sopra un tavolino accanto al letto, coperto da un antichissimo tappeto sardo di tela di lino, adorno di frange e trapunti rossi, fra chicchere e bicchieri e calici e ampolle, una candela ad olio d'oliva illuminava il semplice ambiente pulito e antico. In breve Salvatore fu tra le bianche lenzuola grossolane, e cominciò a trarre grandi sospiri, a sbadigliare, a dimenarsi, quasi stesse per sopraggiungergli un accidente. Agada, ch'era uscita portando via il catino, rientrò e avvicinandosi leggermente al letto non si stupì per lo stato del marito; egli si dimenava così tutta la notte, con un sonno inquieto e quasi nervoso, ma purchè avesse i piedi puliti, la moglie non ne faceva caso e do...

  • av Giovan Battista Guarini
    330

    Se per antica, e forse Da voi negletta, e non creduta fama, Havete mai d'innamorato fiume Le maraviglie udite, Che, per seguir l'onda fugace, e schiva De l'amata Aretusa, Corse (o forza d'amor) le più profonde Viscere de la terra, E del mar penetrando; La dove sotto à la gran mole Etnea, Non so sò se fulminato ò fulminante, Vibra il fiero gigante Contra 'l nemico ciel fiamme di sdegno, Quel son'io: già l'udiste: hor ne vedete Prova tal, ch'a voi stessi Fede negar non lice. Ecco, lasciando il corso antico e noto, Per incognito mar l'onda incontrando Del Re de' fiumi altero, Qui sorgo, e lieto à riveder ne vegno Qual esser già solea libera, e bella; Hor desolata e serva...

  • av Anton Giulio Barrili
    330

    Lettori gentili, siete mai stati ad Arezzo? Se non ci siete mai stati, vi prego di andarci alla prima occasione, anche a costo di farla nascere, o d'inventare un pretesto. Vi assicuro io che mi ringrazierete del consiglio. La Val di Chiana è una tra le più amene e le più pittoresche "del bel paese là dove il sì suona". Anzi, un dilettante di bisticci potrebbe sostenere che il sì è nato proprio in Arezzo, poichè fu aretino quel monaco Guido, a cui siamo debitori della scala armonica. Ma, a farlo apposta, Guido d'Arezzo non inventò che sei note, dimenticando per l'appunto di inventare la settima. Forse, ribatterà il dilettante di cui sopra, Guido non ha inventato il si, perchè questo era gi...

  • av Federico Frezzi
    330

    Del paradiso terrestre e di Enoc e d'Elia e dell'albero della scienza del bene e del male.

  • av Federigo Tozzi
    330

    Nel millenovecento, Remigio Selmi aveva venti anni; ed era aiuto applicato alla stazione di Campiglia. Da parecchio tempo stava in discordia con il padre e non sapeva che al suo piede bucato da una bulletta delle scarpe era ormai venuta anche la cancrena. Invece credeva che stesse meglio; senza sospettare che, se non gliene facevano sapere niente, volevano tenerlo lontano da casa più che fosse possibile. Ma una sera ricevette una cartolina dal chirurgo che lo curava; nella quale era scritto che la malattia non dava più da sperare.

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