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Nel materiale come nel morale converrebbe sempre osservare le cose nel complesso, prima di scendere ai particolari, e osservarle dall'alto il più possibile. Noi pure, accingendoci a delineare le vicende di Milano, contempliamo in prima questa città dalla guglia del Duomo, ponendoci fra quella selva di pinnacoli, sormontanti la maggior mole marmorea d'Europa, la quale desta la meraviglia degli stranieri, e a noi rappresenta la storia di tante gioje e di tanti dolori e la prova delle nostre grandezze passate; e da lontano designandoci il nostro Comune, ci fa battere il cuore per quell'insieme di idee, di affetti, d'interessi, d'abitudini che si compendia nel nome di patria.
- Perdono! disse Niccolò pieno il volto d'una pietà tenera e malinconica, e di qual colpa v'ho io a conceder perdono, poveri figliuoli miei?... Ah! no.... non è vostra la colpa, ma de' vostri rettori, di quelli che vi dovean difendere e v'hanno abbandonati.... Non avete risposto alle mie parole! Che v'era a rispondere? Ah! lo vedo, lo conosco anch'io che per noi non v'è più rimedio, che siam condannati da Dio.... s'io vi parlava a quel modo, egli è perchè non si può veder disperse le speranze e le fatiche di tutta la vita, non si può veder la patria oppressa, caduta a mano de' nemici e de' traditori, e rimaner muti, coll'occhio asciutto.... ma lo so, lo so, figliuoli; che potete far voi o...
L'ho conosciuta. Era una ditta postribolare. Il suo soprannome era «Zia». Tutti i ghiottoni di donne clandestine e tutte le donne venderecce si compiacevano di chiamarla «Zia». È morta il cinque marzo, alle quattro pomeridiane del 1902, nella sua abitazione carnimoniale di via Disciplini, 4 confortata dalla religione che l'ha assolta delle turpitudini di mercantessa di depravazione. È spirata come una pia donna che avesse dedicata l'esistenza al culto della preghiera. Nella stanza non c'era traccia del mestiere infame ch'ella aveva esercitato in una città di mezzo milione e più di abitanti animalizzati dalle passioni carnascialesche.
Non iscrivendo io le memorie d'un uomo illustre per nascita, per talenti, per grado, in cui le minime cose giudicare si sogliono importantissime per la importanza del soggetto di cui si scrive, parlerò poco de' miei parenti, della mia patria, de' miei primi anni, come di cose affatto frivole per se stesse o di pochissimo rilievo pe' leggitori. Parlerò di cose, se non del tutto grandi per lor natura e capaci da interessare ogni paese ed ogni lettore, pur tanto singolari per la lor bizzarria, da poterlo in qualche modo instruire o almeno intrattener senza noia.
La mia vita non può assurgere a valore di esempio, comunque considerata. Anonima nella folla anonima, essa trae luce dal pensiero, dall'ideale che sospinge l'umanità verso migliori destini. E questo ideale io riassumo come balena nel mio pensiero. Nacqui l'11 giugno 1888 da Giovan Battista Vanzetti, e da Giovanna Nivello, in Villafalletto, provincia di Cuneo, Piemonte. Questo comune che sorge sulla sponda destra della Maira, ai piedi di una bellissima catena di colline, è eminentemente agricolo. Qui vissi fino all'età di tredici anni, in seno alla famiglia.
I mirabili istinti mercè cui gli animali provvedono alle necessità della loro esistenza e di quella della lor prole, i costumi loro differentissimi, nei quali si estrinseca il principio immateriale ed intelligente della vita animale, porsero argomento a bellissimi studi e ricerche onde s¿illustrarono Réaumur, Buffon, Huber, Dzierzon e moltissimi altri che non occorre enumerare. Il complesso ordinato delle nozioni che derivano da simili studi e ricerche, costituisce a mio parere, un ramo di scienza a parte, abbastanza ben circoscritto ed importantissimo, che io denominerei biologia o più propriamente etologia.
Vidi condensarsi il nembo, che minacciava in sul principio i principi italiani, come oggi terribile sui popoli della Penisola s'addensa. Seguii d'ogni mia possa i nobili sforzi di qualche eletto, che aprir tentava le menti de' suoi fratelli d'ogni condizione, d'ogni provincia ¿ nei loro interessi istruirli ¿ inspirar loro fiducia nelle proprie sue forze. Vidi infiammarsi il loro coraggio ¿ addottrinarsi, e le genti sommuoversi. Divisi con loro la speranza, e seco mi trovai sull'orlo di quel precipizio, dal quale uno sforzo disperato soltanto può ritrarci.
Nel castello di Varzin una sera dell¿autunno del 1877 ¿ è un amico, il signor Moritz Busch, che racconta ¿ il principe Ottone di Bismarck si era seduto, dopo il pranzo, innanzi al camino e, contrariamente alle sue abitudini, taceva assorto in chi sa quali pensieri, mentre di tempo in tempo, sbadatamente, attizzava con le molle il fuoco. Gli amici intorno rispettavano la sua meditazione, tacendo anch¿essi; quando a un tratto, di propria iniziativa, il principe ruppe il silenzio e cominciò un lungo lamento lagnandosi di aver cavata poca gioia da tutta la sua tempestosa attività di statista e di aver tanto lavorato, senza riescire a far nessuno felice; non sè stesso, non la sua famiglia, non...
I vassalli. Con la distruzione del regno macedone il supremo dominio di Roma, divenuto un fatto compiuto, non solo si consolidò dalle colonne d'Ercole alle foci del Nilo e dell'Oronte, ma, quasi ultima parola del fato, gravitava, con tutto il peso dell'inevitabilità, sui popoli, e sembrava lasciar loro soltanto la scelta tra una disperata resistenza e un disperato martirio. Se la storia non avesse il diritto di reclamare dal lettore serio di esser seguìta nei suoi giorni felici come nei tristi, attraverso le rose e le spine, lo storiografo si sentirebbe tentato di sottrarsi al doloroso compito di seguire nei suoi molteplici ma monotoni svolgimenti...
Il secolo XIII avea data in certo modo la nascita all'ecclesiastica giurisprudenza, disegnata dapprima, per così dire, nelle private raccolte che delle Decretali de' Papi alcuni aveano fatto senza pubblica autorità, e poscia stabilita e confermata solennemente con quella che ne pubblicò Gregorio IX. Aveala più ampiamente ancora distesa Bonifacio VIII col sesto libro delle Decretali da lui pubblicato, come nel tomo precedente si è dimostrato. E nuove aggiunte pur le si fecero in questo secolo di cui scriviamo. Clemente V...
Innanzi a' precedenti tomi della mia Storia ho trattenuti non brevemente i lettori or su uno, or su altro argomento che alla materia, di cui in essi dovea trattarsi, mi sembrava opportuno. Innanzi a questo nulla mi si offre che richiegga lungo proemio; nè io son tra quelli che pensano che una lunghissima prefazione aggiunga ornamento e fama ad un libro. Io mi compiaccio nel vedermi omai giunto alla metà della difficil carriera che ho presa a correre; poichè tutta l'opera non oltrepasserà, come credo, l'ottavo, o il nono volume. Il favorevole accoglimento troppo maggiore di quel che io potessi sperare, con cui è stata ricevuta finora questa mia Storia...
Fra tutte le scienze a cui gl'Italiani ne' tempi di cui trattiamo si rivolgevano, la Giurisprudenza godeva, direi quasi, del primato di antichità e di onore. Essa in fatti era prima di ogni altra risorta in Italia; essa in molte città avea aperte pubbliche scuole; essa contava tra' suoi coltivatori uomini d'ingegno e di sapere non ordinario; essa da tutte le parti d'Europa avea condotte in Italia numerose schiere di giovani; essa in somma potea vantarsi a ragione di aver procurato all'Italia il glorioso titolo di madre delle scienze. Quindi non è maraviglia che i professori della giurisprudenza fossero rimirati come altrettanti oracoli, e che loro si concedessero privilegi ed onor...
Non fu, nè vi è forse, nazione nel mondo letterario antico e moderno, che possa quanto l¿Italia vantare un numero egualmente sterminato di libri trattanti la Storia della patria letteratura. Ogni provincia, ogni città, ogni angolo della bella Penisola non mancano d¿illustratori delle glorie domestiche. Diguisachè parrebbe ai dì nostri imperdonabile inverecondia ed insano ardimento volere aggiungere un nuovo lavoro alla immensa caterva che abbiamo. Nondimeno il desiderio, che unanime sorge dal petto de¿ veri sapienti Italiani, di volere conoscere la idea delle patrie lettere in un tutt¿insieme, il quale ne ritragga a grandi tratti prominenti e precisi la origine e le vicende: i giudizj str...
Eccoci finalmente giunti a quel secolo di cui non credo che v'abbia il più celebre e il più glorioso nella storia dell'italiana letteratura. Io ammiro il secolo XVI in cui si può dire a ragione che l'Italia vedesse risorgere l'età d'Augusto; e quando mi converrà di parlarne, mi sforzerò di esporne, come meglio mi fia possibile i pregi e le glorie. Ma esso non sarebbe stato sì lieto e sì fecondo di dotti ed eleganti scrittori, se le fatiche e gli sforzi di que' che gli aveano preceduti, non avessero spianato loro il cammino, e segnata la via. Dopo le invasioni de' Barbari, l'Italia era a guisa di un incolto terreno che altro non germogliava che bronchi e spine, e ogni giorno più insalvatic...
Io sento, dal profondo, un'esile voce chiamarmi: sei tu, non nato ancora, che vieni nel sonno a destarmi? O vita, o vita nova!... le viscere mie palpitanti trasalgono in sussulti che sono i tuoi baci, i tuoi pianti. Tu sei l'Ignoto.¿Forse pel tuo disperato dolore ti nutro col mio sangue, e formo il tuo cor col mio core; pure io stendo le mani con gesto di lenta carezza, io rido, ebra di vita, a un sogno di forza e bellezza: t'amo e t'invoco, o figlio, in nome del bene e del male, poi che ti chiama al mondo la sacra Natura immortale. E penso a quante donne, ne l'ora che trepida avanza, sale dal grembo al core la stessa devota speranza!... Han tutte ne lo sguardo la gioia e il t...
Marianna Sirca, dopo la morte di un suo ricco zio prete, del quale aveva ereditato il patrimonio, era andata a passare alcuni giorni in campagna, in una piccola casa colonica che possedeva nella Serra di Nuoro, in mezzo a boschi di soveri. Era di giugno. Marianna, sciupata dalla fatica della lunga assistenza d'infermiera prestata allo zio, morto di una paralisi durata due anni, pareva uscita di prigione, tanto era bianca, debole, sbalordita: e per conto suo non si sarebbe mossa né avrebbe dato retta al consiglio del dottore che le ordinava di andare a respirare un po' d'aria pura, se il padre, che faceva il pastore ed era sempre stato una specie di servo del fratello prete, non fosse sce...
Il contributo di pensiero e d'azione che Mazzini ha sempre dato al problema operaio si accresce notevolmente nel periodo che va dal 1860 al 1872, anno della sua morte. Giovandosi della libertà di stampa e di associazione, assicurata dal nuovo regime, egli si dedica a una propaganda intensa delle sue dottrine sociali, le quali, intorno al 1860, costituiscono l'unico completo programma di azione che venga offerto alle masse lavoratrici; e perciò, se pur non riescono a dominare il movimento operaio italiano, si impongono alla generale attenzione, suscitando intorno ad esse entusiasmi, avversioni, discussioni appassionate.
TANGERI Lo stretto di Gibilterra è forse di tutti gli stretti quello che separa più nettamente due paesi più diversi, e questa diversità appare anche maggiore andando a Tangeri da Gibilterra. Qui ferve ancora la vita affrettata, rumorosa e splendida delle città europee; e un viaggiatore di qualunque parte d¿Europa sente l¿aria della sua patria nella comunanza d¿una infinità d¿aspetti e di consuetudini. A tre ore di là, il nome del nostro continente suona quasi come un nome favoloso; cristiano significa nemico, la nostra civiltà è ignorata o temuta o derisa; tutto, dai primi fondamenti della vita sociale fino ai più insignificanti particolari della vita privata, è cambiato; e scomparso fi...
Io, giá molti anni sono, cominciai a scriver alcune novelle, spinto dai comandamenti de la sempre acerba ed onorata memoria, la vertuosa signora Ippolita Sforza, consorte de l'umanissimo signor Alessandro Bentivoglio, che Dio abbia in gloria. E mentre che quella visse, ancor che ad altri fossero alcune di loro dedicate, tutte nondimeno a lei le presentava. Ma non essendo il mondo degno d'aver cosí elevato e glorioso spirito in terra, nostro Signor Iddio con immatura morte a sé lo ritirò in cielo. Onde dopo la morte sua a me avvenne, come a la versatil mola suol avvenire, che, essendo da forte mano raggirata, ancor che se ne levi essa mano, tuttavia la ruota, in vertú del primo movimento, ...
Non ho fatto risposta prima d'ora alla tua dimanda intorno al merito dell'opera seria Demetrio e Polibio, perché il giudicio mio in fatto di musica, non potendo io derivarlo, come sai, da conoscenza alcuna dell'arte, sarebbe forse parso intempestivo anche a me medesimo, se per indurmi a proferirlo avessi stimato sufficiente il suffragio delle prime sensazioni del cuor mio. E però, non contentandomi io di quello, mi parve di dover aspettare che il voto del cuore, per la ripetizione continuata ed uniforme delle stesse sensazioni, pervenisse ad ottenere anche la fredda approvazione della mente.
Non ho mai nelle mie lunghe e dure battaglie sul delitto e sul genio, risposto agli attacchi dei metafisici, non perchè non senta tutto il rispetto che si deve a quei forti pensatori che credono dominare dall'alto il mondo scientifico; ma perchè uso ad altre armi, più umili, se non meno sicure, a quelle dell'osservazione e dell'esperienza, mi sento in faccia a loro troppo o troppo poco armato per combattere senza meritare la taccia di spavaldo o di ingeneroso...
U>dita la dilettevole novella, quasi avendo fatto il sonno dimenticare, nondimeno per non perdere l'usanza il proposto comandò che una danza si prendesse e verso le camere se n'andassero, et alquanto dormiti, innel luogo ordinato si ritrovino quine u' l'altore, ha di bella novella ora contenta la brigata, d'un'altra ne faccia lieti. L'altore, che a ubidire è presto, disse che fatto serà. E così a dormire si puoseno. E levati, colle danze ordinate innel giardino se n'andarono, dove l'altore parlò: «A voi, famigli e donzelli che con altri state a salario, che, vilipendendo i vostri magiori, malcapitate, ad exemplo dirò una novella, in questo modo: DE DISHONESTO FAMULO...
Sono proprio dieci anni, mia cara anima, ch'io t'ho raccontato le mie prime storielle. Che begl'innamorati eravamo noi allora! Io venivo da codesta terra di Provenza, dove sono cresciuto così libero, così fidente, così pieno di tutte le illusioni della vita. Io ero tuo, ero di te sola, delle tue tenerezze, del tuo sogno. Te ne ricordi, Ninetta? Il ricordo è oggi l'unica gioia, nella quale il mio cuore si riposa. Fino a vent'anni, noi abbiamo fatta insieme la stessa strada. Io sento i tuoi piedini sul duro terreno; io scorgo il lembo della tua bianca gonnella sul raso delle erbe avveniticcie; io sento il tuo alito fra gli odori della salvia che mi giungono da lontano come soffi di ...
La brigata giunta colla bella novella ad Aversa, là u' 'l preposto trovò sommamente apparecchiato per la cena; e perché 'l giorno poco aveano mangiato per lo sterile camino, cenarono di vantagio con gran piacere fine all'ora devuta d'andare a dormire; et a l'altore disse che per lo dì seguente la novella ordinasse. E ditto, n'andarono a dormire. La mattina levati, l'altore, che avea udito dire al preposto che la sera voleano essere a Partenopia, subito alla brigata disse: DE DISHONESTO ADULTERIO ET BONO CONSILIO DI SANDRO, COME INGRAVIDÒ LA CUGNATA MARITATA, MA LO MARITO ERA ITO OLTRAMONTI PER UNO ANNO PER LIVERAR CERTE MERCANTIE E NON L'AVEA MENATA.
- Mostratemi dunque un piedino. Ella lo allungò subito fuori dalla corta sottana nera. - Grazie, principessa. - Mi avete riconosciuta? - domandò con un tremito nella voce sottile, abbassando vezzosamente il volto sotto il mascherino per guardare la scarpetta scollata, in pelle bronzina, a bottoncini rotondi sopra un fianco, che teneva ancora alzata...
Magnanimo signor, se 'n te le stelle spiran cotante grazie largamente, piovan piú tosto in me calde fritelle, che seco i' poscia ragionar col dente; dammi ber e mangiar, se vòi piú belle le rime mie; ch'io d'Elicon niente mi curo, in fé di Dio; ché 'l bere d'acque (bea chi ber ne vòl!) sempre mi spiacque.
Cucullino postosi a seder solo sotto d'un albero, alla porta di Tura, mentri gli altri capitani erano iti a caccia sul vicino monte di Cromla, è avvisato dello sbarco di Svarano da Moran, figliuolo di Fiti, uno dei suoi scorridori. Egli raduna i capi della nazione: si tiene un consiglio, nel quale si disputa se debbasi dar battaglia al nemico. Conal, regolo di Togorma ed intimo amico di Cucullino...
Narrasi che tutti gli uomini che da principio popolarono la terra, fossero creati per ogni dove a un medesimo tempo, e tutti bambini, e fossero nutricati dalle api, dalle capre e dalle colombe nel modo che i poeti favoleggiarono dell'educazione di Giove. E che la terra fosse molto più piccola che ora non è, quasi tutti i paesi piani, il cielo senza stelle, non fosse creato il mare, e apparisse nel mondo molto minore varietà e magnificenza che oggi non vi si scuopre. Ma nondimeno gli uomini compiacendosi insaziabilmente di riguardare e di considerare il cielo e la terra, maravigliandosene sopra modo e riputando l'uno e l'altra bellissimi e, non che vasti, ma infiniti, così di grandezza com...
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