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Bøker i Classici della Letteratura Italiana-serien

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  • av Delio Tessa
    330

    Intanto vi racconto queste e poi vedremo. La casa è proprio vecchia, vecchia da far spavento. Anni fa una gelosia l'è crodada e per un pelo non ha tolto di mezzo un inquilino risolvendogli il contratto! È decrepita, dico, ma bella e non è in piano regolatore. Tiriamo il fiato! Qualcuno di voi c'è stato di sicuro o prima di guerra o anche dopo quando vi abitava al primo piano un famoso oculista di cui taccio il nome per non metterlo in piazza. La casa è in un vicolo cieco che adesso ha cambiato faccia, a man diritta di corso Roma, poi a sinistra in fond al streccion.

  • av Ferdinando Fontana
    330

    Alla tua nota satira Chi porse l'argomento? Forse i carmi d'un giovane Da pochi giorni spento? Forse il Torso di Venere O il Düalismo ardito, Che una Musa propizia Dettava a un erudito? Non già!¿. Dalle tue laudi Fu consacrato il primo; Tu lo sapesti scegliere Dal medïocre limo; All'altro degli stolidi Soltanto il volgo indegno Oggi contrasta il fervido Estro e il robusto ingegno.

  • av Jean Charles Leonard de Sismondi
    330

    Fin qui abbiamo veduto la repubblica fiorentina collocarsi nel centro di tutte le negoziazioni, dirigendo tutti gli avvenimenti, ed avendo per lo meno qualche parte in tutte le rivoluzioni, in tutte le guerre d'importanza che agitarono l'Italia. Ma sotto l'amministrazione de' Medici, Firenze non si sostenne in così elevato rango; acconsentì di essere dimenticata nell'equilibrio dell'Italia; le rivoluzioni de' vicini stati si concatenarono le une colle altre senz'essere da lei dirette, o senza che ella si sforzasse di contenerle; e dopo avere passate in rivista queste grandi scene della politica, siamo costretti di tornare a dietro per vedere ciò che accadeva in questo tempo nella sua inte...

  • av Giambattista Vico
    330

    Per ciò che sopra si è detto nelle Degnità: che tutte le storie delle nazioni gentili hanno avuto favolosi princìpi, e che appo i greci (da' quali abbiamo tutto ciò ch'abbiamo dell'antichità gentilesche) i primi sappienti furon i poeti teologi, e la natura delle cose che sono mai nate o fatte porta che sieno rozze le lor origini; tali e non altrimenti si deono stimare quelle della sapienza poetica. E la somma e sovrana stima con la qual è fin a noi pervenuta, ella è nata dalle due borie nelle Degnità divisate, una delle nazioni, l'altra de' dotti, e più che da quella delle nazioni ella è nata dalla boria de' dotti, per la quale come Manetone...

  • av Jean Charles Leonard de Sismondi
    330

    Nell'istante in cui il Savonarola, abbandonato dal favore popolare, vedeva cambiarsi in accuse contro di lui quelle rivelazioni con cui aveva in Firenze pasciuti i suoi seguaci, pareva che la più importante sua profezia avesse adesso compimento. Aveva predetto a Carlo VIII che Dio lo aveva scelto per liberare l'Italia dai suoi tiranni e per riformare la Chiesa; dopo ciò mai non aveva lasciato di rimproverargli a nome del cielo irritato la lentezza sua nell'esecuzione di questa grand'opera, e di minacciargli un esemplare gastigo. Il Savonarola aveva cercato di far risguardare come principio di tale gastigo la successiva morte di due delfini, che Carlo VIII perdette in tenera età; ma un nuo...

  • av Gasparo Gozzi
    383,-

    Trovavansi a' giorni passati in una bottega di caffè due uomini dabbene, l'uno filosofo e l'altro che pizzicava alquanto di poeta; ond'io, parendomi che avessero appiccato insieme un ragionamento con molto calore, me ne stava in un canto col mantello quasi fino al naso, per intendere quanto dicessero, senza che paresse mio fatto. Credetemi, diceva il primo, che la favoletta vostra sotto il velo dell'allegoria nasconde una certissima verità. Tutti gli uomini per lo più s'ingannano in questo, che vanno cercando lontanissime cose per trarne utilità o diletto, quando hanno ogni cosa nel proprio paese. Ma il difetto non viene dal popolo, no; viene dagli scrittori, i quali correndo dietro a' tr...

  • av Giambattista Vico
    330

    Quantunque la sapienza poetica, nel libro precedente già dimostrata essere stata la sapienza volgare de' popoli della Grecia, prima poeti teologi e poscia eroici, debba ella portare di séguito necessario che la sapienza d'Omero non sia stata di spezie punto diversa; però, perché Platone ne lasciò troppo altamente impressa l'oppenione che fusse egli fornito di sublime sapienza riposta (onde l'hanno seguìto a tutta voga tutti gli altri filosofi, e sopra gli altri Plutarco ne ha lavorato un intiero libro), noi qui particolarmente ci daremo ad esaminare se Omero mai fusse stato filosofo; sul qual dubbio scrisse un altro intiero libro Dionigi Longino, il quale da Diogene Laerzio nella Vita di ...

  • av Silvio Pellico
    383,-

    Esce LANCIOTTO dalle sue stanze per andare all'incontro di GUIDO, il quale giunge. Si abbracciano affettuosamente. GUIDO. Vedermi dunque ella chiedea? Ravenna Tosto lasciai; men della figlia caro Sariami il trono della terra. LANCIOTTO. Oh Guido! Come diverso tu rivedi questo Palagio mio dal dì che sposo io fui! Di Rimini le vie più non son liete Di canti e danze; più non odi alcuno Che di me dica: Non v'ha rege al mondo Felice al pari di Lanciotto. Invidia Avean di me tutti d'Italia i prenci: Or degno son di lor pietà. Francesca

  • av Alfredo Oriani
    330

    Annottava. Egli andò lentamente verso la scranna, sulla quale aveva posato il violino; lo prese, ne saggiò l'accordatura, ed avvicinandosi un altro passo alla finestra, senza rivolgere il capo, incominciò a suonare così: Poichè siamo soli in questo gabinetto, mettetevi là, su quella poltrona, ed ascoltatemi. Fra poco sarà notte: adesso il cielo è opaco come un mare e silenzioso come un deserto. Avete mai riflettuto su quest'ora del vespro, quando tutto sta per sparire, e nulla è ancora scomparso? Vi è mai sembrato di perdere in quest'ora la coscienza del mondo, e di sentirvici come un pellegrino, il quale cammina alla ventura, distratto dalla curiosità del viaggio, ma rattristato dal mi...

  • av Francesco Crispi
    383,-

    Leone di Caprivi annunzia a Crispi di avere assunto la direzione degli affari politici della Germania. Scambio di saluti e proteste di fedeltà. Caprivi viene in Italia per conferire con Crispi. Colloquii del 7 e dell' 8 novembre 1890. Il 20 marzo 1890 Guglielmo II di Germania nominava Cancelliere dell'Impero e Presidente del Ministero prussiano il generale conte Leone di Caprivi, in sostituzione del principe Ottone di Bismarck. Assumendo gli altissimi uffici il di Caprivi dirigeva a Francesco Crispi, il quale dall'agosto 1887 reggeva il Ministero degli Affari esteri d'Italia, la seguente lettera...

  • av Paolo Emiliani Giudici
    462,-

    Come io accennava nel chiudere la decorsa lezione, la parte difficile del nostro lavoro è finita; difficile insieme ed importantissima, imperciocchè duranti i trecento anni circa da che la lingua nuova avea cominciato ad assumere carattere letterario, l¿arte veniva perfezionando i suoi strumenti e ad un tempo medesimo sviluppando le principali sue forme. Era però necessario, onde fare intendere il carattere costitutivo, o a dir proprio, il genio puro della letteratura italiana venire con minutezza osservando i monumenti, vegliandone i passi, notando le divergenze dallo scopo, cui il genio della nazione tendeva, e determinando le esterne influenze.

  • av Angelo de Gubernatis
    330

    Trovo in una leggenda estonica, che il vecchio padre (WannaIssi), ossia il Dio del Cielo, incarica ogni giorno Ammarik (luce di sera) di spegnere il fuoco del sole, ma di coprirlo bene, perchè non succeda, nella notte, alcuna disgrazia, e Koit (luce del mattino), perchè lo raccenda e lo ravvivi. In qual modo Ammarik può coprire il fuoco del sole? Con la cenere. Dove piglia esso la cenere? Nell'ombra cenerina del cielo notturno, che s'aduna intorno al fuoco solare e lo vela alla vista degli uomini.

  • av Antonio Guadagnoli
    357,-

    Voi che leggete tante Poesie, Né le leggete sol, ma le comprate, Spero che comprerete anche le mie, Quando le avrò in un tomo ristampate, E in un sesto piccin come il presente, Onde v'entrino in tasca facilmente. Sì, se i fati non sono a me sinistri, Spero che nell'April metterò fuori In Pisa, presso Sebastiano Nistri...

  • av Giovanni Prati
    383,-

    Alto e giusto di forme, e brun di volto; Nero di ciglia; intento occhio che splende; Fronte mobile ed ampia; il crin mi scende Giù per le spalle abbandonato e folto. Sotto i mustacchi impallida o s¿accende Il labbro; agil la voce, il piede ho sciolto; Pronti i gesti; talor l¿abito incolto; Ecco il visibil che di me si rende. I pochi o i tanti che non m¿han veduto, Come leggendo suol crear l¿affetto,

  • av Pietro Verri
    330

    Abbiamo un buon numero di scrittori della storia e della erudizione patria; eppure pochi sono i Milanesi, anche scegliendo gli uomini colti, i quali abbiano un'idea della storia del loro paese. Questa generale oscurità ci dispiace, e tavolta ancor ci pregiudica; ma gli ostacoli che dovremo superare per acquistare la notizia, sono tanti e sì difficili, che, affrontati appena, ci sgomentano; e, trattine alcuni pochi eruditi per mestiere, i quali si appiattano a vivere fra i codici e le pergamene, non vi è chi ardisca di vincerli. Il Calchi, l'Alciati, il Corio han qualche nome.

  • av Gabriele D'Annunzio
    330

    Beati immaculati...Andare davanti al giudice, dirgli: "Ho commesso un delitto. Quella povera creatura non sarebbe morta se io non l'avessi uccisa. Io Tullio Hermil, io stesso l'ho uccisa. Ho premeditato l'assassinio, nella mia casa. L'ho compiuto con una perfetta lucidità di conscienza, esattamente, nella massima sicurezza. Poi ho seguitato a vivere col mio segreto nella mia casa, un anno intero, fino ad oggi. Oggi è l'anniversario. Eccomi nelle vostre mani. Ascoltatemi. Giudicatemi". Posso andare davanti al giudice, posso parlargli così?Non posso né voglio. La giustizia degli uomini non mi tocca. Nessun tribunale della terra saprebbe giudicarmi.Eppure bisogna che io mi accusi,...

  • av de Amicis Edmondo
    330

    Tu ami la lingua del tuo paese, non è vero? L¿amiamo tutti. È inseparabilmente congiunto l¿amore della nostra lingua col sentimento d¿ammirazione e di gratitudine che ci lega ai nostri padri per il tesoro immenso di sapienza e di bellezza ch¿essi diedero per mezzo di lei alla famiglia umana, e che è la gloria dell¿Italia, l¿onore del nostro nome nel mondo. L¿amiamo perchè l¿hanno formata, lavorata, arricchita, trasmessa a noi come un¿eredità sacra milioni e milioni d¿esseri del nostro sangue, dei quali, per secoli, ella espresse il pensiero, e le sue sorti furon le sorti d¿Italia, la sua vita la nostra storia, il suo regno la nostra grandezza.

  • av Anton Giulio Barrili
    330

    Racconto una storia vera, giusta il mio costume, che dovrebb'essere di tutti coloro i quali non sono molto esercitati nell'arte del novelliere. Facile è lo inventare, e ci si mette quanto a dir male del prossimo; difficilissimo, poi, dare alle sue invenzioni la evidenza del vero, lumeggiarle con quei tocchi di pennello che le fanno balzar quasi dalla tela. I fatti, per tal guisa affastellati, si tengono ritti per miracolo; i caratteri, dipinti di maniera, non istanno nè in riga nè in spazio; gli è insomma un guazzabuglio, il quale non mette nulla in rilievo, nulla, se non forse la tracotanza dell'autore.

  • av Tullo Massarani
    330

    Oh! se il pensier vagante Per l'ètera infinito Sapesse mai le tante Larve, onde fu rapito, Pinger con la favella Ne la solinga cella!

  • av Mario Morasso
    330

    Numerosi e loquaci sono oggi i critici, innumerabili e diverse le critiche, ma una vera critica d'arte, scientificamente costruita con i metodi e sui dati che rinnovarono tutti gli studi, non esiste ancora, come manca del pari una teoria generale del fenomeno artistico che corrisponda ai requisiti del pensiero moderno. Non mai anzi, come oggi, meno si seppe istituire un giudizio estetico, meno si potè giudicare della vera bellezza di un'opera d'arte, poichè non mai come adesso mancò in modo più completo il criterio stabile ed essenziale donde derivare siffatto giudizio.

  • av Marie-Catherine D'Aulnoy
    330

    C'era una volta un Re, molto ricco di quattrini e di terre: la sua moglie morì, ed egli ne fu inconsolabile. Per otto giorni intieri si chiuse in un piccolo salottino, dove picchiava il capo nel muro, tanto era il dolore che gli straziava l'anima; per paura che finisse coll'ammazzarsi, furono accomodate delle materasse fra il muro e i parati della stanza. Così poteva sbatacchiarsi a suo piacere, e non c'era caso che potesse farsi del male. Tutti i suoi sudditi si messero d'accordo per andare a trovarlo e dirgli quelle ragioni credute più adatte, per iscuoterlo dalla sua tristezza...

  • av Pietro Verri
    330

    (1500) Poiché il re Lodovico XII ebbe abbandonato Milano per ritornarsene nel suo regno, una porzione dell'armata francese s'incamminò verso della Romagna per togliere Imola e le altre città promesse al duca di Valentinois, dalle mani del conte Girolamo della Rovere. Il duca di Valentinois era figlio di Alessandro VI, il conte Girolamo era figlio di Sisto IV. È facile l'immaginarsi quai dovessero essere i costumi di que' tempi, se tali esempi diedero anche i poscia graduati al sommo sacerdozio. Doveva quindi quel corpo di Francesi innoltrarsi ad occupare il regno di Napoli. Divenne così meno imponente nella Lombardia la nuova forza conquistatrice.

  • av Salvatore di Giacomo
    330

    Sul Piazzale di Porta Roma erano poche persone. Era deserta la via del laboratorio pirotecnico, deserta la via di faccia ad essa, ove, sul principio, è la semplice e nuda fabbrica dell¿Arcivescovado a cui seguono altre fabbriche basse e la Riviera Casilina, recinta da una fila di casette rossastre. L¿ora del tramonto avanzava. Un lume dorato che poc¿anzi avea tutto infiammato, nel lontano, il fuggevole dosso de¿ Tifati si raccoglieva in coda ä monti, ove la terra e la collina s¿univano e pareva che l¿ultima arborea decorazione di quelle gobbe immani sprofondasse nell¿immensa e aperta campagna, verso Roma lontana. Tutto intorno taceva di quel triste silenzio invernale che pesa su Capua, ...

  • av Luigi Antonelli
    330

    Signori! L¿amarezza di questa favola che vi preparate ad ascoltare mi ha indotto a rivolgervi alcune parole prima ch¿io divenga una scimmia. Sono le mie ultime parole, almeno per questa sera, che pronunzierò da uomo: e non saranno gaie, poichè io diventerò una scimmia per mettermi contro gli uomini. L¿autore non poteva oggi scrivere una favola allegra per far ridere una platea. L¿interpretazione della nostra vita contemporanea non può essere una gioconda partita a dama, perchè la vita non è divertente. Per sperare ancòra qualche cosa dagli uomini e per credere nel loro avvenire, bisogna mettersi a urlare per tutto quello che essi hanno distrutto e si apparecchiano a distruggere.

  • av Gaetano Negri
    330

    Nel presentare questo nuovo mio libro ai miei pochi ma cortesi lettori, io vorrei rinnovare l'espressione di un desiderio, già manifestato nei miei volumi antecedenti. Io vorrei che essi fossero persuasi che non c'è, nel mio pensiero, neppur l'ombra di un'inclinazione tendenziosa. Per me la storia non ha interesse, se non è trattata con uno spirito e con un metodo rigorosamente oggettivo. Se lo scrittore si giova della storia per dare sfogo alle sue preconcette preferenze, se vuol forzare i fatti alla giustificazione delle sue teorie, potrà scrivere un'opera interessante ed eloquente, potrà scagliare un libello od imaginare un romanzo, ma non scriverà una storia. Tale concetto deve applic...

  • av Luigi Barzini
    330

    Da bordo del Venezuela, 12 ottobre. Chi può udire senza commozione profonda il grido che si leva da una nave carica d¿emigranti, nel momento della partenza, quel grido al quale risponde la moltitudine assiepata sulle banchine, urlo disperato di mille voci rauche di pianto? Gridano addio! E par che gridino aiuto!... L¿addio! Non c¿è cosa più amara e più dolorosa. Tutta l¿umana sofferenza può essere espressa in questa parola: addio! In fondo ad ogni nostro dolore possiamo trovare sempre un addio: a qualche cosa o a qualcheduno.

  • av Pietro Verri
    330

    Verso la metà del secolo decimoterzo l'Impero era immerso nell'anarchia e nella confusione. Vi erano più rivali, e ciascuno s'intitolava augusto ed aveva un partito; rivali deboli però, e appena bastanti a nuocersi scambievolmente; e perciò l'autorità imperiale più non vi era; anzi, riguardo alla storia di Milano, dobbiamo considerare l'influenza dell'imperatore sospesa sino alla fine del secolo decimoterzo. Gl'imperatori Corrado IV, Guglielmo d'Olanda, Riccardo di Cornovaglia, Alfonso di Castiglia, Rodolfo di Habsburg, Adolfo di Nassau e Alberto I non ebbero che poca o nessuna parte negli avvenimenti di Milano...

  • av Giovanni di Giovanni
    330

    Compita che fu la misura delle scelleratezze degli Ebrei; così profondamente caddero dal cuore di Dio, che perdendo l¿onorevole titolo di suo popolo diletto, incorsero l¿obbrobrioso nome di nazione perfida, rubelle, e maledetta. Quindi nel ricercare noi con tutta diligenza, e nell¿esporre con tutta fedeltà l¿Ebraismo della Sicilia, in fin a richiamare in questo Capitolo da più alti secoli la sua antichità, ed a stendere ne¿ Capitoli d¿appresso con ampiezza i suoi privilegj, non abbiamo pretesa quell¿esaltazione, che si suol pretendere dagli Storici, qualor si studiano di sollevare al più alto, che possono, le prerogative, ed antichità di que¿ popoli, i fatti de¿ quali imprendono ad illust...

  • av Emma Perodi
    357,-

    La Vezzosa non aveva saputo resistere alla tentazione di domandare al marito quali erano i fatti dolorosi il cui ricordo bastava per render triste la vecchia Regina, e Cecco le aveva narrato che nei primi anni del matrimonio, le era nato un figlio infelice, assolutamente scemo, e che la vista di quel ragazzo con un testone che non poteva regger sulle spalle, era il tormento del vecchio Marcucci. Per quel povero bambino egli non aveva sentito mai altro che repulsione, e la Regina, che lo idolatrava appunto perché era disgraziato, si affliggeva immensamente di vederlo trascurato dal padre.

  • av Remigio Zena
    330

    Il meglio, nelle cose proibite dal governo, è di non mischiarcisi mai; per esempio, a forza di suppliche e di raccomandazioni, una mattina finalmente il re fece alla Bricicca la grazia dei tre o quattro mesi che le restavano ancora, ed è uscita in libertà dopo un anno di prigionia per l'affare del lotto clandestino, ossia del seminario, come diciamo noi a Genova, ma intanto col suo volersi imbarazzare in certi negozi, fu essa che finí per uscirne colla testa rotta. Quando si nomina la Bricicca, s'intende la bisagnina che sta sulla piazzetta della Pece Greca, di fianco all'Angelo Custode, quella che aveva tre figlie, perché a Genova ce n'è un'altra chiamata Bricicca, che vende farinata a ...

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