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Quando, tra il 1823 e il 1827, fu pubblicata la Storia della Rivoluzione Francese, l'opera riscosse un immediato successo, portando il giovane Adolphe Thiers alla ribalta del mondo accademico e politico francese. Si trattava del primo vero trattato sulla Rivoluzione, tuttora una pietra miliare della storiografia, per scrivere il quale lo storico aveva potuto raccogliere le testimonianze di un gran numero di testimoni oculari. Viene qui riproposta la classica traduzione italiana in 15 tomi di Ermenegildo Potenti. In questo secondo tomo, Thiers racconta il periodo tra il 1790 e gli inizi del 1792, segnato da eventi celebri come la fuga di Luigi XVI e la dichiarazione di guerra alle potenze europee.
Quando, tra il 1823 e il 1827, fu pubblicata la "Storia della Rivoluzione Francese", l'opera riscosse un immediato successo, portando il giovane Adolphe Thiers alla ribalta del mondo accademico e politico francese. Si trattava del primo vero trattato sulla Rivoluzione, tuttora una pietra miliare della storiografia, per scrivere il quale lo storico aveva potuto raccogliere le testimonianze di un gran numero di testimoni oculari. Viene qui riproposta la classica traduzione italiana in 15 tomi di Ermenegildo Potenti. In questo primo tomo, Thiers racconta i cruciali avvenimenti dall'ascesa al trono di Luigi XVI ai lavori dell'Assemblea Costituente, passando per momenti celebri come il giuramento della Pallacorda e la presa della Bastiglia.
Scritto all'indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale, "Mussolini l'uomo l'avventuriero il criminale" è uno dei primi tentativi di ricostruzione del ventennio fascista pubblicati nell'Italia repubblicana. Gian Dàuli vi lavorò negli ultimi tre mesi della sua vita, spendendo ogni energia residua nell'intento di fornire agli Italiani un vaccino contro la tentazione di rimpiangere o riabilitare quello che l'autore definiva "un commediante assetato di teatralità". Più un pamphlet che un saggio, più un'invettiva che una biografia, "non opera d'arte, ma opera di bene" (per usare le parole del suo prefatore), viene oggi riproposto per la prima volta dal 1946.
Può Giacomo Leopardi considerarsi un filosofo? O essere un poeta contrasta per sua natura con l'adozione di un pensiero sistematico? In questa raccolta di scritti, curata dallo stesso autore e che abbraccia quasi un trentennio, Giovanni Gentile affronta la figura del poeta di Recanati dal punto di vista del filosofo, chiedendosi a più riprese dove finisce lo scrittore e dove inizia il pensatore. Un'occasione in più per accostarsi a un autore che, come diceva il De Sanctis in un passo più volte qui citato, "produce l'effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso, e te lo fa desiderare: non crede alla libertà, e te la fa amare".
Insegnare la filosofia nelle scuole: è ancora utile? E quanto spazio va concesso alla materia? Il mondo accademico italiano si pose il problema agli inizi del XX secolo, e da più parti fu proposta la cancellazione della materia dai programmi ministeriali. Giovanni Gentile, filosofo e pedagogista, non poteva restare inerme e in questo scritto giovanile si cimenta in una vibrante difesa della filosofia e della sua importanza per la formazione degli studenti.
Una famiglia unita contro una dittatura. Nel 1926 il regime fascista inaugura un giro di vite per la persecuzione del dissenso. A farne le spese, tra gli altri, lo storico e saggista Guglielmo Ferrero, cui viene lentamente stretto attorno un cappio fatto di controllo poliziesco e tentativi di impedire l'espressione delle sue idee. In questo diario, scritto dal figlio Leo, si ripercorre in tempo reale l'epopea di una famiglia di intellettuali italiani impegnati a resistere con dignità e forza alle minacce e alle seduzioni di una società che si è fatta addomesticare dall'idea totalitaria.
Il declino del regno borbonico delle Due Sicilie come nessuno lo ha mai raccontato. Pubblicato in origine come inchiesta giornalistica a puntate per il "Corriere di Napoli", "La fine di un regno" dipinge gli ultimi anni di dinastia borbonica, fornendo uno sguardo non limitato alle grandi vicende politiche, ma anzi allargato a numerosi aspetti della vita sociale, culturale, letteraria. Benché a volte criticato per il suo indugiare nell'aneddotica e nel particolare, Raffaele De Cesare in questo saggio caleidoscopico ci offre uno dei pochi spaccati della vita quotidiana nel Meridione antecedente l'Unità.
Il declino del regno borbonico delle Due Sicilie come nessuno lo ha mai raccontato. Pubblicato in origine come inchiesta giornalistica a puntate per il "Corriere di Napoli", "La fine di un regno" dipinge gli ultimi anni di dinastia borbonica, fornendo uno sguardo non limitato alle grandi vicende politiche, ma anzi allargato a numerosi aspetti della vita sociale, culturale, letteraria. Benché a volte criticato per il suo indugiare nell'aneddotica e nel particolare, Raffaele De Cesare in questo saggio caleidoscopico ci offre uno dei pochi spaccati della vita quotidiana nel Meridione antecedente l'Unità.
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