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Bøker av Giuseppina D'Amato

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  • av Giuseppina D'Amato
    244,-

    Premessa. Conosco Cristina e Pietro da sempre. Sempre. Principio. Fine. Enti umani. L'unità spazio-tempo è un'entità sconfinata, la cui estensione è inafferrabile a chi vive in un unico cosmo e misura la matèria in micron, millimetri, secondi. Difficile ridurre lo spazio e il tempo a valori terrestri per chi, come me, abita il multiverso e ha visto la primigenia scintilla creatrice. Superfluo aggiungere che sono il super testimone di questa storia straordinaria. Cristina D'Amore è una persona eterea e deliziosa. Se volete immaginarla, pensatela simile a un sogno. La sua scrittura esprime le fragilità e la paura dell'ignoto. Possiede un raro talento letterario che, a soli venti anni, l'ha resa ricca e famosa. Vive tra New York e Milano. Non gira il pianeta per presentare le sue opere: l'ansia e il panico glielo impediscono. La sua biografia è leggenda. L'identità e l'aspetto sono misteri insondabili. Pubblica con uno pseudonimo. Alcuni sospettano un vecchio dietro il nome d'arte, altri un cenacolo letterario. C'è persino chi pensa a un'intelligenza artificiale. Niente di più falso. Cristina esiste. Si è trasferita a Milano in preda a intense fobìe e preoccupazioni quántiche. Rimarrò con lei finché avrà bisogno di me. Qualcosa o qualcheduno ha rimosso i ricordi. Nella sospensione onirica, compaiono personaggi teriomòrfi. Le visioni lucide sembrano vere. Sogna, e Pietro irrompe nella sua camera per motivi che sfuggono alla ragióne. Le loro esistenze si svolgono su diverse dimensioni, ma s'incontrano in un intrico morfico e reale. Un mistero incombe, fitto come l'oblio, straziante e cupo, come l'amnesia che ha colpito entrambi. Non meno avvincente è Polidim, l'iperspazio dove vivono gli amici di Piero. Al risveglio, Cristina troverà Giovanni, il pizzaiolo che la condurrà nella realtà. Tutto deve ancora avvenire. Tutto è già stato. La narrazione procede in forma circolare e inversa. Spesso, il passato segue il futuro, e il presente rincorre il passato. Bisogna imparare a cogliere i segni.Preoccupazioni quántiche. Cristina è una ragazza strana. Cristina non ha pace. Ha paura di tutto. Teme l'avvenire. Spesso, ripete: Sono cresciuta con i giocàttoli impigliati nei capelli della mia Fantasia. Mi spaventano le pieghe capovolte e il cosmo multiverso. Ho il terrore d'inciampare nelle stringhe vibranti e smarrirmi fra le pliche temporali. Cristina fa la scrittrice. Cristina mentre dorme, sogna. Tutte le notti fa il medesimo sogno. Sogna una schiera di giochi che invade la camera dalla finestra, o attraverso la serratura e le feritoie della porta. I più intraprendenti volano su una mongolfiera colorata. Si lanciano. Entrano. Affollano la stanza. Si arrampicano alla chioma per entrale nel cranio. Cristina teme le rùbino i sogni, o siano i sogni irrealizzati a svegliarsi nel sonno. È stanca di combattere contro il panico del vuoto e dell'estensione cosmica. A volte, pensa: "Le dimensioni dell'iperspazio sono smisurate. I rivèrberi creano cloni della matèria. Di conseguenza, esistono mille esseri uguali a me. In qualche bolla lontanissima c'è un'altra me. Agisce come me. Ha le mie stesse fobìe. Le due me mai s'incontreranno: la distanza che le separa è impensabile, e non bastano tutte le particelle dell'Universo a scrivere in cifre i chilometri." Cristina quando si sveglia, scrive. Scrive per non pensare. Scrive per non cedere alla follia. I personaggi in un tempo circolare e indefinito.Il viaggiatore giovane. Una miriade di luci al neon disegna la città avvolta in un'alba grigia e fumósa. Un aereo vola sopra i tetti di cotto, le guglie dei templi, le terrazze bitumate coi climatizzatori e i depositi dell'acqua. Si abbassa, sorvóla i palazzi dipinti a tinte vivaci, un'arteria trafficata, e un lungo viadotto di cemento armato su cui i treni s'incrociano, infuocando di scintille le rotaie. I vagoni sfrecciano impazziti.

  • - dentro il lapislazzuli
    av Giuseppina D'Amato
    179,-

    Miranda non avrebbe mai immaginato che un quadro fosse così poco bidimensionale, quando intraprese la sua avventura con il lapislazzuli. Miranda, Leo e Concita vivono una vita urbana, dove il quotidiano sconfina oltre la cornice del reale e dove l'irreale è vero oltre la ragione. Una storia in cui ciascuna parola ha un senso preciso, autentico, unico e un senso inverso, nascosto tra le righe oltre la cornice del testo narrativo.INCIPITI ricordi sono una parte imprescindibile di me, come il fusto che sorregge la crescita dei rami, o le radici che attingono l'acqua e i preziosi nutrimenti sotterranei che danno energia e vigore alla pianta. Alla maniera delle memorie nascoste negli abissi, i miei piedi, segmenti inferiori sempre impolverati e uniti al suolo, mi tengono eretta e salda sulle gambe, mentre le gambe mi aiutano nella deambulazione e mi fanno procedere nel mio cammino. L'emozione è forte e mi invoglia a scrivere di getto, ma la mente razionale m'impone di narrare con amore e prudenza. Mi chiamo Miranda Chiari. Dieci anni fa, ero una diciottenne intraprendente e frequentavo la Comics' School a Milano. Tutti i giorni, prendevo il rapido Brescia-Milano e, una volta giunta in stazione, scendevo fino ai binari della metro; salivo sul treno per Porta Genova e andavo incontro alla mia avventura quotidiana. Una volta, all'uscita della metropolitana, sostavo sul marciapiede in contemplazione delle bancarelle che esponevano le loro mercanzie, quando scorsi un ragazzino che correva tra la folla. Attraversò la strada a razzo, un tram lo evitò per un soffio. Tremai per lui e mi ripromisi che, se per caso lo avessi rivisto, lo avrei rimproverato di brutto. Il pensiero s'avverò quasi all'istante poiché lo stesso giorno, all'inizio della ricreazione, me lo ritrovai davanti nel cortile della mia scuola. Mi evitò e fuggì via. Lo seguii con lo sguardo finché si eclissò nella biblioteca al pianterreno. Chiesi spiegazioni. In sede, si tenevano dei corsi pomeridiani per i bambini, mi informarono i compagni. Raccontarono anche che quel ragazzino disegnava benissimo, aveva un tratto grafico divino e un grande futuro nell'arte pittorica. In ultimo, mi dissero che spesso marinava la scuola media per venire a leggere i fumetti nella nostra emeroteca. Mi piacque all'istante. Anch'io da piccola preferivo sprofondare in una storia illustrata anziché fare i compiti. Quando terminarono le lezioni, gli altri allievi sciamarono fuori dai cancelli, invece io mi fermai ad usare in tutta calma una delle lavagne luminose che la mattina gli studenti di tutte le classi assalivano come le cavallette. Dopo un poco, entrò un uomo che poteva avera all'incirca una quarantina d'anni. Appena mi scorse, aggrondò i cigli. Aveva il tipico aspetto trasandato figo tipico dell'artista grafico pubblicitario, pensai, mentre mi chiedeva se poteva usare l'aula. Gli imbianchini stanno tinteggiando la nostra e non so dove portare i ragazzi, aggiunse. Nulla in contrario, risposi. Che cos'altro potevo replicare a un insegnante? Una ciurma disordinata invase i banchi e, insieme agli altri, entrò anche il piccolo genio spericolato. Fermo sulla soglia, mi guardò a lungo: io persa nell'alone accecante dei faretti, lui una sagoma in controluce. Parato davanti ame, mi soppesò con le palpebre socchiuse. Forse, chiedendosi dove m'avesse già vista. Dopo avermi squadrata, si avvicinò e osservò il mio abbozzo di alberi spogli su cui dovevano germogliare dei meccanismi temporali. Sul tavolo, accanto alla bozza, avevo messo una cassa d'orologio aperta per riprodurne i vari ingranaggi e le complicazioni tra i rami delle piante. Originale, esclamò. Vuoi vedere i miei lavori? propose sgranando gli occhi. Acconsentii; mi parve felice. Svuotò sul ripiano di cristallo la cartella piena zeppa di disegni. Gli feci un sacco di complimenti, tutti meritati per via del tratto fine e dei soggetti originali, vidi le sue labbra distendersi fino alle

  • av Giuseppina D'Amato
    236,-

    Cora, una giovane restauratrice, trova in un baule due diari vergati da una calligrafia delicata. La lettura la trascina negli anni '60 e nella vita di Michela, una ragazzina, di cui ignora la vera identità. Inizia così un racconto parallelo - la vita di Cora nel mondo contemporaneo e le vicende di Michela - e una ricerca che condurrà alla scoperta di molti segreti. Donne di generazioni diverse sono le affascinanti protagoniste del romanzo, che si snoda tra flash-back e colpi di scena. Sullo sfondo c'è un affresco degli anni '60 in un discreto confronto con la società attuale.INCIPITMercoledì, 2 novembre 1966. Mattina. Piove. Piove senza sosta, da molti giorni. La noia è devastante. Non ho nulla da fare. Uscire è impossibile: il cortile è un pantano. Mi angoscio e sento un vuoto interiore. La pioggia che annega il cielo e la campagna, m'inquieta e ne ignoro la ragione. Ho deciso di scrivere. Provo un irresistibile bisogno di raccontare. Narrare è necessario, per vincere questo tedio struggente. Pomeriggio Noi ragazze non possiamo uscire e in tutto dipendiamo dagli adulti. Quando ho saputo che l'istitutrice andava in centro, sono corsa su per le scale strette e buie, e sono inciampata in un gradino: sarei caduta, se non mi fossi aggrappata al corrimano. Mi sono precipitata in portineria, appena in tempo. La signorina Mariella aveva già aperto la porta. Al mio richiamo, si è girata, sorpresa di vedermi. Michela, dimmi, ha esclamato, sollevando le sopracciglia sottili. Vorrei un quaderno, ho risposto. Come dev'essere? ha chiesto brusca, senza togliere la mano dalla maniglia, come chi ha molta fretta. Alto e con la copertina plastificata, ho precisato. Va bene. Lo vuoi a righe o a quadretti? ha aggiunto con un sorriso gentile. Ho sollevato una spalla e, increspando il labbro superiore, ho replicato: Fa lo stesso. Ha strizzato le ciglia e le pupille sono diventate piccole piccole. Per quale materia ti occorre? ha voluto sapere. La mia indecisione deve averla confusa. Nessuna. Scriverò di me, mi è sfuggito. Poi mi sono pentita. Ha spalancato le palpebre truccate con il kajal nero che sporca lo sguardo innocente. No, non dirmi. Anche tu, il diario? Sì, ho ammesso, seria. Ora, sorge il dubbio. La sua era una domanda o una critica? Ha alzato il mento. Che cosa scriverai? ha chiesto. A saperlo, ho pensato, abbassando gli angoli della bocca in un'espressione incerta. Inizio con la cronaca della mia vita, l'ho sparata grossa. Ha annuito con piccoli cenni del capo. Vedrò d'accontentarti, ha detto salutando con un gesto della mano. Poi ha aperto l'uscio. Grazie, torni subito, le ho detto, mentre si chiudeva la porta alle spalle. Avrei voluto suggerirle di non fermarsi al bar a bere il caffè e a parlare dell'Arno gonfio di pioggia, ma lei era già sparita. Sono ritornata verso lo studio uno, rasserenata dal suo buon gusto, aggrappandomi al regolo, per non ruzzolare dalla scalinata. Accidenti, è davvero pericolosa. Prima di rientrare, mi sono attardata in veranda accanto a una delle numerose porte finestra. Rapita dai rovesci dell'acqua, ho osservato la cuoca che guadava la corte con ai piedi un paio di stivaloni di gomma e si allontanava a passi lenti sotto la pioggia scrosciante. Viene giù a secchiate, da ore e ore. Ho fissa nella mente l'immagine della direttrice che, disperata, alza gli occhi al cielo e ripete: Ohi, il Signore Iddio s'è scordato di noi fiorentini.Il tema a piacere Sera. Ricordo d'aver fatto un tema, ricco di senso, in prima media di cui ancora conservo la minuta. È la mia prima storia. Oggi compito in classe, disse la professoressa, togliendo dalla borsa tre fascicoli di prove. Ma non ci ha avvisato, protestammo in coro. Indugiò un istante. Guardò da un angolo all'altro dell'aula e riprese a rovistare nella borsa. Non importa. È un tema libero. Voglio vedere se avete fantasia,

  • av Giuseppina D'Amato
    562,-

  • av Giuseppina D'Amato
    191,-

  • - otto mesi in Australia
    av Giuseppina D'Amato
    245,-

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